Essere musicista

Una stanza d’albergo, la vista di Francoforte dal 17° piano. Manca un’ora al concerto e tutto è pronto: la giacca, i pantaloni, il violoncello, la camicia bianca prestata da un collega perché, come al solito, si dimentica sempre qualcosa a casa, con conseguente stress da ultimo minuto. Stasera suoneremo, alla “Alte Oper”, un bel programma: Sinfonia Haffner di Mozart e Sinfonia Italiana di Mendelssohn. Il pubblico tedesco è molto preparato, ama e conosce bene questa musica: sarà certamente una bella serata.

Faccio il musicista da tanti anni, ormai, e ho capito di essere fortunato: questa professione è stimolante, piena di soddisfazioni e mi ha permesso di girare buona parte del mondo.

Oggi, però, per me è più bello di una volta fare questo mestiere: ho una maggiore consapevolezza di cosa voglia dire veramente fare il musicista.

Fin da bambino, mi domandavo cosa fosse la musica: persone che strofinano, percuotono o soffiano dentro oggetti dalle diverse forme, producendo un’enorme varietà di suoni e inducendo la gente, attorno, a fermarsi e ascoltare. Che fenomeno strano!

Ovunque vada in giro per il mondo il tono minore di una melodia dà una sensazione di tristezza, mentre il tono maggiore, sempre di allegria. Che ci si trovi in Palestina, in Germania o in Giappone, ossia in Paesi con culture totalmente differenti, le sensazioni provate sono identiche: le cosiddette dissonanze provocano un certo fastidio e le consonanze un senso di beatitudine. Non può essere un caso!

Molti credono che la musica sia stata inventata dall’uomo, ma non è così.

Quelle armonie che accarezzano l’orecchio, che fanno addormentare i bambini, che, addirittura, fanno crescere meglio l’uva tanto da produrre un vino migliore, che commuovono o incoraggiano o addirittura danno forza fisica…..

La musica non è un’invenzione, ma un dono. Nasce dall’armonia, seguendo leggi naturali, matematiche, universali. Tutto nell’universo è una vibrazione armonica, formata da triadi che hanno relazioni matematiche tra loro: granelli di Saturno, ad esempio, hanno una distanza reciproca, equivalente alle proporzioni di una sequenza di note armoniche che vanno a costituire una triade maggiore. Se noi soffiamo in un tubo, vedremo che i suoni non saranno prodotti a caso, ma si collocheranno a una precisa distanza tra loro, rispettando certe proporzioni, proprio come gli anelli di Saturno.

L’armonia è scritta già dentro l’uomo: non viene dall’esterno e non può, dunque, essere inventata. Il desiderio di armonia, di ordine fa parte del bagaglio archetipale dell’essere umano: è ciò che ci colloca all’interno dell’universo. Quando percepiamo qualcosa di armonico improvvisamente proviamo una sensazione di benessere, perché riapriamo quel canale che ci conduce al nostro posto nel tutto. L’arte, quella classica che viene da personaggi come Mozart o Michelangelo, ci prende per mano e ci indica la strada, dandoci quella sensazione di “ritorno a casa” di cui abbiamo tanto bisogno e che ci ridà la pace.

Da quando presi per la prima volta uno strumento musicale in mano mi accorsi che questo era una specie di radio, un amplificatore dell’anima: capii che permetteva di mostrare all’esterno il mio mondo interiore. Qualche anno dopo capii che se volevo esprimere al meglio il mio mondo, dovevo, per prima cosa, conoscerlo a fondo. Compresi che la prerogativa di un artista è quella di continuare a esplorare il proprio universo interno in modo da conoscerlo sempre meglio e poterlo tradurre e comunicare ad altri.

La ricerca interiore è un viaggio stimolante e difficoltoso al tempo stesso: nasce da una sorta di diffidenza verso ciò che è fuori a favore di una ricerca di un sapere interno.

La mia ricerca, iniziata fin da bambino, ebbe una svolta decisiva nel 2004 quando Claudio Abbado mi chiamò a far parte dell’Orchestra Mozart. Il primo incontro con il grande direttore era già avvenuto nel 1996, anno nel quale avevo suonato nella Gustav Mahler Jugend Orchester poi, il silenzio, per anni, fino, appunto, al 2004. All’epoca ero Primo violoncello de laVerdi, formazione alla quale devo tutto: il curriculum, l’esperienza, una “straordinaria palestra” che mi darà una marcia in più, una “sveglia”.

La certezza di un posto fisso e di una sorta di “famiglia” allargata vennero messe in discussione da una semplice telefonata. Abbado mi fece chiamare per chiedermi se volevo far parte dell’Orchestra Mozart che aveva appena formato. Cercai di barcamenarmi per un po’, ma, a un certo punto, scegliere fu obbligatorio.

L’incontro con Claudio Abbado segnò una svolta decisiva non solo da un punto di vista musicale, ma anche e soprattutto da quello umano. Fu grazie a lui, infatti, che nel 2009 venni invitato in Venezuela, a partecipare al famoso Sistema di José Antonio Abreu.

Nel 2004 perdevo la sicurezza, la stabilità lavorativa, ma conquistavo una nuova consapevolezza: l’essere musicista assumeva, per me, un senso e un valore diverso. Del resto, pensai: “L’artista, per definizione, è uno che rischia, uno al quale non interessa la stabilità perché confida nella sua arte”. Rinunciavo a un posto stabile, ma iniziavo a stare meglio di prima: cominciavo a fare qualcosa di bello e di utile.

Oggi faccio il musicista, come prima, ma con molte meno paure e con una piccola  percentuale del mio tempo passata ad aiutare chi ha bisogno. La musica ha avuto il potere semplice e devastante di ricordarmi alcune leggi universali immutabili, che  valgono per tutti: soprattutto, mi ha insegnato ad accogliere il diverso. In un’orchestra devi “accogliere il diverso” per suonarci insieme altrimenti la musica diventa rumore. La cosa straordinaria è che questa piccola legge (“accogliere il diverso”) vale per tutto l’universo, dagli esseri unicellulari nel mare che si uniscono per creare qualcosa di più grosso e più forte fino a formare pesci e oltre arrivando agli esseri umani. Gli esseri umani si uniscono per lo stesso motivo a formare città, nazioni. L’accogliere il diverso ha portato, alla fine, sempre e solo buoni frutti, persino in biologia: gli accoppiamenti tra razze diverse creano individui più forti e resistenti. Una volta interiorizzato tutto questo suonare è diventato infinitamente più facile e più bello.

Viaggiando dal Venezuela a Santo Domingo dalla Palestina fino al Giappone mi sono accorto che la stessa identica medicina cura malattie diverse, anzi opposte. La musica è un riequilibratore totale, riverticalizza tutto, riporta tutti i valori al centro anche quelli economici. Tutto ciò ha quasi dell’incredibile.

Lo scopo della vita, del resto, è cercare non trovare: non è vincere, ma rialzarsi dopo una caduta. Muoversi, non stare fermi. E cercare. Durante i miei viaggi non ho fatto altro che cercare e quello che ne ha beneficiato più di tutti sono stato io.